Pietro Antonio Locatelli

Ritratto di Pietro Antonio Locatelli

(Bergamo 1695 – Amsterdam 1764) fu un rappresentante luminoso del cosiddetto stile galante, cioè di quel nuovo gusto musicale che nelle composizioni prediligeva una scrittura lineare caratterizzata da un alleggerimento della tessitura, una scrittura melodica morbida e affettuosamente cantabile, impreziosita dall’ornamentazione e dalla condotta ritmica finemente diversificata.

Allievo per brevissimo tempo di Arcangelo Corelli (1711-1712) e poi di Giuseppe Valentini a Roma, fu testimone della diaspora di musicisti italiani verso il nord Europa (in un certo senso una “fuga di cervelli”) e soprattutto un campione della tecnica violinistica (celebri i suoi capricci, o “lunghe cadenze”, elogiati da Jean-Jacques Rousseau nel Dictionnaire de Musique), ma diversamente da certi suoi contemporanei (Tartini e Geminiani, e vorrei annoverare anche Vivaldi e Albinoni), la sua fama non perdurò nel tempo come avrebbe meritato. Ciò risulta quanto mai assurdo se si pensa che mentre Giuseppe Tartini riscuoteva successo in tutta Europa e Francesco Xaverio Geminiani, debitamente inserito nei circuiti massonici, era eseguito in Inghilterra e a Parigi, Locatelli era il più facoltoso musicista di Amsterdam, eminente e ammirato esponente della cultura cittadina.

Protagonista di una carriera fuori dall’ordinario, evitò sempre e volutamente incarichi ufficiali, centellinò la propria schiera di allievi e con spirito manageriale si inserì appieno nel mondo dell’editoria (il privilegio per la stampa gli fu concesso il 24 luglio 1731), organizzando periodicamente concerti privati nella sua lussuosa abitazione impreziosita da objets d’art, strumenti musicali, rarissimi dipinti e oltre un migliaio di libri. Non viene delineandosi, quindi, il ritratto di un compositore minore o peggio ancora da dimenticare, bensì il ritratto di un compositore oltremodo “moderno” svincolato dalle imposizioni della curia o della corte, dedito all’esecuzione, all’insegnamento, alla revisione, alla pubblicazione e alla vendita delle proprie opere: il ritratto di un migrante italiano divenuto rappresentante mirabile della borghesia olandese la cui instancabile attività artistica fra il 1729 e il 1764 segnò un momento decisivo e fondamentale dell’arte violinistica.

Eppure, se è vero che egli pubblicò i suoi lavori in pregevoli edizioni nate sotto sua accorta supervisione (ristampate a Parigi a partire dal 1738) è altrettanto vero che i Concerts Spirituels parigini non inclusero mai suoi lavori nelle programmazioni. Se è vero che la sua tecnica violinistica ispirò in un certo modo virtuosi del calibro di Jean-Marie Leclair, Louis-Gabriel Guillemain, Pierre Gaviniès e più tardi di Niccolò Paganini (i capricci di Locatelli apparvero nel 1733, quelli di Paganini nel 1820), alla reputazione di Locatelli fu però posta una pesante ipoteca dalle biliose parole di Wilhelm Joseph von Wasielewski: il musicista bergamasco venne definito un compositore «confinante con la ciarlataneria», ma naturalmente la convinzione e la serietà con le quali venne avanzata questa assurda opinione valgono oggi di per sé a far nascere semplicemente un dolceamaro sorriso*.

di Attilio Cantore

 

*Ad ogni buon conto, bisognerà attendere il 1905 per una certa “riabilitazione” delle composizioni dell’illustre e dimenticato compositore, anno in cui Arnold Schering individuò ne L’arte del violino di Locatelli, che era stata a torto giudicata male («misjudged»), alcuni tratti mendelssohniani. Cfr. Arnold Schering, Geschichte des Instrumentalkonzerts, Lipsia, 1905, p. 111.