Domenico e Valerio Mazzocchi, illustri maestri di Civita Castellana

Passeggiando per Civita Castellana, cittadina di 15.000 abitanti situata nella parte orientale della provincia di Viterbo ai confini con la Sabina, non si può evitare di fermarsi di fronte alla bellissima Cattedrale di Santa Maria Maggiore, costruita dai famosi marmorari della famiglia romana dei Cosmati. Sotto il portico del 1200 si trovano diversi monumenti marmorei, fra cui quello che Domenico Mazzocchi fece costruire in memoria del fratello Virgilio, deceduto il 2 ottobre 1646. 

L’epigrafe in latino si apre con la consueta sigla DOM (Deo Optimo Maximo) seguita dal nome del dedicatario, VIRGILIO MAZZOCCHIO, definito VEIENTANO.

Monumento marmoreo a Virgilio Mazzocchi, Portico della Cattedrale di S. Maria Maggiore, Civita Castellana (VT)

Ma perché l’illustre compositore civitonico, celebrato al suo tempo e per tutto il Settecento, viene definito cittadino dell’antica Veio, la celeberrima città etrusca, la cui conquista nel 396 a.C. segnò l’avvio dell’espansione romana nel Lazio?

Oggi diamo quasi per scontata l’individuazione degli antichi siti dell’’antichità romana perché l’archeologia, fondando gli studi storici con l’evidenza dello scavo scientifico, ha raggiunto traguardi straordinari e quasi tutti i luoghi citati negli scritti antichi sono stati individuati sul territorio e diventati oggetto di ricerca e valorizzazione.

Così non era nel Seicento, quando la pratica di scavo archeologico si limitava a ritrovamenti di superficie, spesso decontestualizzati, e ci si basava perlopiù sulle fonti scritte e su interpretazioni medievali. 

Domenico Mazzocchi non era solo un compositore, ma anche un grande e appassionato studioso, letterato e storico. Seppur divenuto cittadino romano nel 1614 a 22 anni, mai dimenticò il sacro legame con la città natale di Civita Castellana e proprio nell’anno della morte del fratello diede alle stampe il libro Veio difeso, in cui “si mostra l’antica Veio essere hoggi Civita Castellana”.

Scoperto l’arcano non ci resta che andare a conoscere meglio i due maestri civitonici e scoprire il valore delle loro opere.

Domenico Mazzocchi nacque nel 1592, avviato alla carriera ecclesiastica, scoprì presto il piacere del comporre musica e questo fece per l’intera sua vita, in special modo al servizio delle più illustri casate romane.

Basta dare uno sguardo veloce alla lista delle sue composizioni, pubblicata in quello che ad oggi è l’unico testo di riferimento per le biografie dei Mazzocchi, ossia i Cenni biografici di Domenico e Virgilio Mazzocchi di don Antonio Cardinali (1925), per rendersi conto delle relazioni di Domenico. Fra le dediche spiccano quelle al duca Odoardo Farnese, al cardinal Ippolito Aldobrandini, al cardinal Maffeo Vincenzo Barberini, poi papa Urbano VIII, ad Olimpia Aldobrandini, maritata Borghese.

Erano queste le famiglie che governavano Roma spartendosi il potere e le diverse successioni al seggio pontificio. 

Per Domenico il legame principale fu senza dubbio con la famiglia Aldobrandini. Nella raccolta Musiche sacre e morali pubblicata nel 1640, ci fa sapere di essere al servizio degli Aldobrandini già da 20 anni.

Molto probabilemente era entrato fra i familiares di Ippolito Aldobrandini jr quando questi, nel 1621, fu nominato cardinale. È palese l’enorme devozione del Mazzocchi nei confronti del suo “padrone” – fra l’altro i due erano coetanei – nella dedica ai suoi Dialoghi e Sonetti del 1638, pubblicati pochi mesi prima della morte del cardinale.

La raccolta risulta molto interessante e contiene 4 dialoghi a 3 o 4 voci e 5 sonetti a una o 3 voci. 

L’apertura è affidata al dialogo Dido furens su testo in latino preso direttamente dai versi 296-668 del Quarto Libro dell’Eneide, in cui si narra la famosa vicenda amorosa fra Enea e Didone, la regina cartaginese abbandonata dall’eroe troiano. 

Mazzocchi scrive un componimento musicale adattando la musica al testo di Virgilio. Si tratta di una monodia (canto accompagnato dal basso continuo) in cui si alternano le voci di Virgilio (basso), Didone (soprano) ed Enea (tenore). Solo alla fine i tre vengono coinvolti in un breve coro sulle parole che descrivono l’atroce fine della regina (Lamentis gemituque et femineo ululatu tecta fremunt: resonat magnis plangoribus aether).

Sullo stile di questa si presentano le successive composizioni.

Sempre dall’Eneide (Nono Libro) Mazzocchi prende il testo per il quarto dialogo, dedicato ad un’altra tragica storia amorosa, quella fra Eurialo e Niso.

Gli altri due dialoghi sono uno, Olindo e Sofronia, su testo della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso (1544-1595), l’altro, Maddalena errante, su testo del principe Giovan Giorgio Aldobrandini, fratello del cardinale Ippolito. 

Dello stesso principe Mazzocchi mette in musica anche il sonetto Corre con piede. Fra i sonetti c’è posto anche per un testo del papa Urbano VIII.

L’ultimo sonetto, La Madalena ricorre alle lagrime del cardinal Roberto Ubaldini, è seguito da un “Avvertimento” che spiega alcuni simboli apposti sullo spartito per indicare le diverse tipologie di semitono (diatonico, cromatico ed enarmonico): all’epoca non era ancora stato definito il temperamento equabile ed era comune variare la distanza minima fra due suoni, il semitono appunto, in base a criteri di consonanza che ancora oggi si utilizzano, ad esempio, nella prassi del quartetto d’archi.

Nelle Musiche sacre e morali del 1640 Domenico Mazzocchi mise in musica poco meno di 40 componimenti fra sonetti e arie a voce sola, a due, a tre o a quattro parti.

Anche qui spiccano nomi importanti del panorama letterario italiano quali Francesco Petrarca e Torquato Tasso. 

Di un poco conosciuto Gerardo Saracini è il sonetto Consideratione nella morte di Christo (“Homai le luci erranti). Siamo sempre di fronte a una melodia accompagnata, in cui il testo la fa da padrone e i cromatismi sono funzionali non tanto alla tonalità, quanto piuttosto a sottolineare particolari “accenti” della poesia. La musica si fa schiava della parola descrivendone minuziosamente ogni aspetto. Qui Mazzocchi va ben oltre i cari madrigalismi dell’epoca precedente e s’impegna a trovare una continua connessione fra note e testo. 

Domenico morì a Roma il 20 gennaio 1665 presso il principe Aldobrandini nel Palazzo ora Doria Pamphilj a via del Corso.

Virgilio Mazzocchi, più giovane di Domenico di 5 anni, raggiuse il fratello a Roma e seguì anch’egli la carriera musicale. Come ci dice l’epigrafe sul suo monumento funebre, fu noto per la sua capacità di trovare sempre nuove formule melodiche. Iniziò il suo lavoro presso la Chiesa del Gesù e la Basilica Lateranense, ma dal 1628 su Maestro della Cappella Giulia per ben 17 anni, fondando una vera e propria scuola di canto e composizione.

Il Cardinali riporta un elogio a Virgilio fatto da Gio. Andrea Angelini Bontempi di Perugia: Le scuole di Roma obbligavano i discepoli ad impiegare ogni giorno un’ora nel cantar cose difficili e malagevoli per l’acquisto dell’esperienza. Un’altra nell’esercizio del trillo. Un’altra in quello dei passaggi. Un’altra negli studi delle lettere ed un’altra negli studi degli ammaestramenti ed esercizio del canto, e sotto l’udito del maestro, ed avanti ad uno specchio per assuefarsi a non far moto alcuno inconveniente né di vita, né di fronte, né di ciglia, né di bocca. E tutti questi erano gl’impieghi della mattina. Dopo il mezzodì s’impiegava mezz’ora negli ammaestramenti appartenenti alla teorica, un’altra mezz’ora nel contrappunto sopra il canto fermo; un’ora nel ricevere e mettere in opera i documenti del contrappunto sopra la cartella; un’altra negli studi delle lettere ed il rimanente del giorno nell’esercitarsi nel suono del clavicembalo, nella composizione di qualche salmo o mottetto o canzonetta od altra sorte di cantilena seconod il proprio genio… Gli esercizi poi fuori di casa erano l’andare spesse volte a cantare, e sentire la risposta da un’eco fuori della Porta Angelica verso Monte Mario per farsi giudicare da se stesso de’ propri accenti, l’andare a cantare quasi in tutte le musiche nelle Chiese di Roma e l’osservare le maniere del canto di tanti cantori insigni che fiorivano nel Pontificato di Urbano VIII […]

Questi sono stati gli esercizi, questa la scuola che noi sopra la musica armonica abbiamo avuto in Roma da Virgilio Mazzocchi, professore insigne e maestro delal Cappella di S. Pietro in Vaticano.

Abbiamo voluto riportare quasi interamente questo testo per far intendere l’altissimo livello della scuola che il Mazzocchi aveva definito per la Cappella Giulia. 

Come il fratello fu carissimo ai vari canonici di S. Pietro, ai principi e in particolare al Cardinal Francesco Barberini, suo coetaneo e nipote di Urbano VIII. 

La produzione musicale di Virgilio fu perlopiù di carattere sacro, anche se è noto un suo lavoro per il teatro Barberini, Chi soffre speri, insieme a Marco Marazzoli.

Troviamo suoi brani in raccolte dell’epoca che mettevano insieme composizioni di diversi autori.

Del 1640 è la canzone a 2 voci Non infiammi un nobile petto contenuta nella Raccolta d’arie spirituali a una, due e tre voci, di diversi eccellentissimi autori, raccolte e date in luce di Vincenzo Bianchi.

Salta subito agli occhi la diversa condotta delle parti rispetto al fratello. Non siamo più di fronte a un canto accompagnato, ma tre voci (2 soprani e continuo) che si muovono secondo un piano che non è necessariamente soggetto al testo.

Particolare l’utilizzo dei cromatismi, spesso davvero ardito con dissonanze inaspettate e che richiedono un’esecuzione attenta affinché non risultino troppo ostiche all’ascolto.

Virgilio morì durante un suo soggiorno a Civita Castellana ucciso, come ci dice il fratello nell’epigrafe, da una veloce malattia (brevi morbo).