Erano i capei d’oro a l’aura sparsi: da Petrarca a Nanino
Giovanni Maria Nanino nasce intorno al 1544 a Tivoli da famiglia originaria di Vallerano (VT). Inizia la carriera musicale giovanissimo come fanciullo cantore per poi affermarsi nella cappella Giulia in Vaticano. Dal 1571 è maestro di cappella nella Basilica di S. Maria Maggiore e, successivamente, nella Chiesa di S. Luigi dei Francesi. Nanino raggiunge l’apice della sua carriera negli ultimi anni del 1500 e nei primi del 1600 quando è eletto per ben tre volte alla guida della Cappella Musicale Pontificia.
Viene associato, insieme al fratello minore Giovanni Bernardino, alla cosiddetta Scuola Romana, il cui compositore più rappresentativo è sicuramente Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Si dedica a composizioni di musica vocale sia sacra (mottetti e lamentazioni) sia profana (madrigali e canzonette).
Fra le sue pubblicazioni più importanti spiccano i tre libri di madrigali, pubblicati fra il 1570 e il 1586, e Il primo libro di canzonette, una serie di 28 componimenti a 3 voci pubblicata a Venezia nel 1593.
Di particolare interesse sono le 4 canzonette (24-27) che mettono in musica il celeberrimo sonetto n° 90 del Canzoniere di Francesco Petrarca, Erano i capei d’oro a l’aura sparsi.
Il petrarchismo musicale è stato un fenomeno che ha coinvolto tutta la produzione madrigalistica del Cinquecento, che in molte occasioni si è confrontata con i testi più belli e rappresentativi della poesia dell’aretino, ma anche con testi originali, ma composti nello stesso stile.
Del resto, se si vuole assumere quale veritiera l’origine del termine “madrigale” da “matricalis”, ossia “nella lingua madre”, quale altro poeta sarebbe potuto essere più rappresentativo di quel Petrarca che a inizio secolo l’autorevole Pietro Bembo aveva proposto come modello per la poesia di un’intera nazione?
Il sonetto n° 90 è sicuramente uno dei più famosi e più riproposti fra i banchi di scuola. Petrarca non si limita alla descrizione della donna-angelo cara agli stilnovisti, ma delinea, in chiave personalistica, la figura dell’amata, in particolare quella del tempo passato nel perpetuo confronto col presente.
La struttura del sonetto è quella classica di endecasillabi divisi in 2 quartine e 2 terzine.
Se ne ripropone qui di seguito il testo e la relativa parafrasi.
Testo | Parafrasi |
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi che ’n mille dolci nodi gli avolgea, e ’l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi; |
I biondi capelli di Laura erano sparsi al vento che li avvolgeva in tanti boccoli soavi, e il seducente fulgore di quegli occhi, ora assai meno luminosi, scintillava in maniera straordinaria; |
e ’l viso di pietosi color’ farsi, non so se vero o falso, mi parea: i’ che l’esca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di sùbito arsi? |
e mi sembrava che il viso, non so se davvero o solo nella mia immaginazione, si colorasse di pietà; io, che avevo deposta in cuore l’esca amorosa, c’è forse da meravigliarsi se subito avvampai d’amore? |
Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma; e le parole sonavan altro che, pur voce umana; |
Il suo incedere non era quello di un corpo mortale, ma di un angelo celeste, e la sua voce suonava come qualcosa di diverso dalla voce umana. |
uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale, piaga per allentar d’arco non sana. |
Uno spirito celeste, un sole splendente, fu ciò che io vidi, e se anche ora non fosse più tale, la ferita non si rimargina allentando l’arco. |
Nanino sfrutta la struttura quadripartita per comporre 4 diverse “canzonette a 3 voci” per “canto”, tenore e basso.
La rigida sequenza di endecasillabi non si ripercuote nel componimento musicale, che conferisce periodi di diversa lunghezza a ciascun verso, dando sfogo alle spinte musicalmente rappresentative delle singole espressioni poetiche.
Ecco quindi che, adottando la tecnica dei “madrigalismi”, il primo brano inizia con un accordo maggiore con tutte le voci in omoritmia sull’espressione temporale “erano”, creando così un vero e proprio spazio-tempo ben definito in un passato radioso. La musica segue la descrizione dei capelli che si muovono al vento attraverso una serie di passaggi melismatici fra le tre voci, fino alla cadenza che ritorna sul medesimo accordo iniziale, quasi a dire che l’immagine è frutto della memoria di un passato che non esiste più se non nella mente dell’autore e lì, e solo lì, continua a rivivere.
Le curve dei boccoli vengono descritte musicalmente attraverso l’uso dell’intervallo di semitono (cromatismi) e la loro dolcezza si rivela col discoprimento della vera tonalità del brano: non più un chiaro e definito re maggiore, ma un languido sol minore.
“Il lume” di cui erano dotati gli occhi di Laura si presenta deciso, nella forza penetrante dell’accordo di fa maggiore, per poi esprimere il suo ardore in una scala di ottava ascendente affidata al soprano.
Ma non è più questo il lume degli occhi della donna amata e il ritorno al mesto presente è sancito dal sol minore conclusivo. Non è tuttavia una conclusione affrettata, perché il compositore ritiene opportuno ripetere la seconda parte dell’ultimo verso, arricchendola di veloci porzioni di scale discendenti: la “scarsità” di quel lume giovanile non è solo triste, ma scende fino a toccare l’intimo più profondo del poeta.
La seconda “Canzonetta” mette in musica la seconda quartina del Sonetto. L’incertezza del ”vero o falso” viene tradotta in musica attraverso l’uso della sincope, che, spostando la normale accentuazione ritmica, crea una destabilizzazione che non è più solo formale, ma anche concettuale.
La perizia del compositore sale di grado quando deve incastonare nel petto del poeta “l’esca amorosa” e lo fa utilizzando la scala del modo lidio, con una successione di tre toni al basso che risulta tanto pungente quanto un vero amo che l’esca è solita celare.
“Qual meraviglia?” domanda ironicamente il poeta e l’ironia esce fuori da un passaggio armonico semplice e lineare che va in contrasto col precedente: se non c’è da meravigliarsi, la musica passa da un passaggio teso a uno armonicamente più rilassato. L’immagine finale del poeta arso velocemente d’amore, come una fiamma che avvampa e in un batter d’occhio si spegne, è resa da un passaggio veloce che si chiude su una cadenza sulla sola nota di tonica, ossia completamente svuotata dal punto di vista armonico, né maggiore né minore.
L’incedere angelico di Laura, che apre il terzo componimento musicale, viene ben rappresentato musicalmente e si comprende anche solo dando uno sguardo allo spartito che presenta all’inizio solo note bianche, candide come angeli, che poi compaiono svolazzando liberamente nell’aere.
Il suono della voce di Laura viene espresso attraverso le tre voci che si susseguono ripetendo una serie di rintocchi, come se nell’idea del compositore questa voce avesse la capacità di echeggiare più e più volte per rimanere così impressa nell’animo dell’amante.
L’ultima “Canzonetta” inizia descrivendo con accordi “puliti” la lucentezza di ciò che il poeta vide nella sua amata. Non importa se oggi non è più la stessa visione si trasforma musicalmente in una frase con cadenze insolite, non conclusive che aprono al dramma finale della “piaga”, ferita aperta anche musicalmente, dal cui interno fuoriesce ancora sangue, come testimonia il movimento della voce centrale.