La Sonata Barocca
La vastissima letteratura della Sonata barocca trae origine proprio dalle “Canzoni da sonar”, per un gruppo ridotto di strumentisti, che vanno da uno a quattro strumenti melodici con aggiunta del basso continuo.
La Sonata, nel suo sviluppo successivo, è influenzata sia dalla monodia, che dalla musica per danza, che un po’ alla volta subentrano all’influenza predominante della Canzona. Ben presto il violino, affiancato fino al XVII secolo dal cornetto, sviluppa grazie a questo genere il proprio idioma virtuosistico, soppiantando in virtù delle sue caratteristiche di agilità e alla sonorità più brillante, la famiglia delle viole.
La Sonata a tre, che costituirà peraltro la parte prevalente della produzione bolognese, vede la nascita con Salomone Rossi, nelle sue Sinfonie e Galiarde del 1607. Sarà poi ripresa da Marini negli Affetti Musicali del 1617, e coltivata poi dalla gran parte dei compositori del tempo. Per quanto nella Sonata a tre il carattere virtuosistico sia meno accentuato che nella Sonata per strumento solista, la tessitura della trama musicale tra i due strumenti di canto procede con un dialogo serrato, in un vivace susseguirsi di procedimenti imitativi e disegni ritmici complementari, cui con il passare del tempo partecipa sempre di più anche il basso. Molto spesso la struttura tematica della Canzona variata viene mantenuta nelle Sonate, sia in quelle solistiche che in quelle a tre, con piccole variazioni.
Anche nelle Sonate da chiesa, che costituiscono uno dei settori di sviluppo più fruttuosi e prolifici della musica strumentale, l’iniziale sezione fugata è sovente preceduta da un’introduzione accordale. Il compositore mira soprattutto a un effetto di contrasto tra le sezioni, ottenuto grazie ai cambiamenti di tempo e di contenuto melodico, per il resto, soprattutto nel primo periodo della Sonata, non è possibile riscontrare una regola generale nel loro susseguirsi.
Un’interessante analisi riguardante le caratteristiche formali delle sonate da chiesa, in relazione ai vari momenti della liturgia e al repertorio per organo a questi dedicato, è quella proposta da Gregory Barnett. Ritroviamo spesso nelle Sonate da chiesa l’utilizzo di materiale cromatico nella costruzione delle fughe, tale spunto melodico è assimilabile a quello che si trova nel ricercar cromatico raccomandato in molti manuali per organo. Un altro fattore d’ispirazione, soprattutto per quanto riguarda l’uso delle dissonanze nei movimenti che non presentano carattere imitativo, lo ritroviamo in quella che nelle toccate per organo o per cembalo viene designata col nome di durezze e ligature (ovvero dissonanze e sospensioni), una modalità che viene utilizzata soprattutto durante il momento dell’Elevazione nelle funzioni religiose. Il momento della cosiddetta intonatione, che si può ritrovare nelle toccate per l’Introito funge da spunto per i passaggi più rapidi e virtuosistici in stile imitativo.
E’ possibile che le Sonate da chiesa siano state eseguite durante la celebrazione liturgica, sostituendo talvolta i canti del Proprio e dell’Ordinario, oltre che nei momenti in cui fosse previsto un accompagnamento musicale seppure non cantato. Le collezioni di Sonate da chiesa offrono quindi un ventaglio di opzioni per l’uso liturgico, offrendo nei vari movimenti un variegato panorama di “affetti” in accordo con i momenti della messa. Il compito del Maestro di cappella, quando sceglie una Sonata, è anche quello di dare istruzioni agli esecutori, indicando loro di ripetere, tagliare od omettere alcuni movimenti.
Al di là delle corrispondenze formali, per quanto riguarda le indicazioni sullo stile esecutivo della musica cosiddetta “da chiesa”, prendiamo in prestito le indicazioni di J. J. Quantz che istruisce gli esecutori su come mitigare gli aspetti più virtuosistici e bizzarri dell’esecuzione quando si esibiscano in luoghi sacri: “Una composizione per la chiesa richiede maggior maestosità e serietà rispetto ad una per il teatro, che concede maggiore libertà. Se in una composizione per la chiesa il compositore ha inserito alcune idee bizzarre e stravaganti inappropriate al luogo, l’accompagnatore e in particolare il violinista devono cercare di mitigarle, sottometterle e ammorbidirle il più possibile per mantenere la modestia dell’esecuzione”.
Per quanto riguarda invece l’ambito delle cosiddette “Sonate da Camera”, scritte per Ensemble strumentali di svariata ampiezza e composizione, assistiamo nel corso del ‘600 a una sostituzione delle più tradizionali e famose forme della danza tardo Rinascimentale, ovvero la Pavana e la Gagliarda (caratterizzate rispettivamente dal metro binario e dal metro ternario) con il Balletto e la Corrente.
A partire dalla seconda metà del 1600, i compositori includono frequentemente nelle loro Suites forme quali l’allemanda, la sarabanda e la giga. Negli anni ’60 del 1600 infatti, assistiamo a un frequente contatto tra le Corti francesi e quelle del Nord Italia. La conseguenza musicale di questi incontri è l’introduzione del cosiddetto stile “alla francese”, che troverà conferma e ampliamento nell’introduzione nelle Sonate, di altre forme di danza quali la gavotta, la borea e il minuetto.
Un’altra attitudine compositiva nelle Sonate da camera caratteristica della prima metà del ‘600, rappresentata dal grande gusto per la variazione dei più noti bassi ostinati (fra questi il Ruggiero, la Romanesca, la Bergamasca, il Ballo del Granduca, l’Aria della Monica), viene soppiantata dopo la metà del secolo (seppur con minor frequenza), dalla variazione di altre forme di danza, quali la folia, la ciaccona, la passacaglia, presentate da sole o inserite fra altre danze in una Suite strumentale.
Il termine Sonata da camera viene quindi associato generalmente alla musica per gruppo strumentale da eseguire in contesti privati, in contrapposizione a quella da eseguire in contesti pubblici quali le chiese o i teatri. Dopo il 1660 i compositori utilizzeranno per questa forma anche altre fantasiose denominazioni, quali trattenimento, divertimento, allettamento, concerto o concertino, bizzarria.
Negli ultimi decenni del secolo la Sonata da camera attraversa evoluzioni successive, fino ad arrivare anche ad essere una sequenza di movimenti indipendenti dalla forma di danza, come avviene ad esempio in alcune Sonate di Bononcini. Queste trasformazioni della terminologia e della forma compositiva si rispecchiano in come i compositori presentano le loro danze all’interno di una pubblicazione: come danza singola, come coppia di danze, come suite di danze, e a partire dal 1680 sotto forma di Suite di danze, intervallate da tempi non da danza. Vediamo l’impiego delle forme di danza in successione, nella musica strumentale italiana, soprattutto negli anni tra il 1660 e il 1690.
Un’altra differenza degna di nota per quanto riguarda l’organico delle Sonate da Chiesa o delle Sonate da Camera risiede nella composizione del Basso continuo. Nelle Sonate da Chiesa il suo organico è tendenzialmente più corposo e più rinforzato, con l’obiettivo di conferire maggiore chiarezza alla struttura contrappuntistica. Nella Sonata da Camera invece la parte del basso viene mantenuta più agile e può arrivare ad essere eseguita anche da un solo strumento. Sebbene i due generi siano talvolta sovrapponibili per alcune caratteristiche, soprattutto nell’alternanza dei tempi e nel loro numero, per quanto riguarda l’organico la conformazione è in stretta relazione con l’ambiente per cui la composizione è stata ideata. Vediamo quindi un organico più agile e più esile dal punto di vista dell’impatto sonoro per le Sonate da Camera, e più sostanzioso per le Sonate destinate a riempire gli ampi spazi delle chiese.
Erica Scherl